venerdì 27 gennaio 2017

Cari Genitori provate a scrivere insieme ai vostri bambini

Cari genitori, il maestro vi ha assegnato un compito facoltativo per questo week-end...
Questa settimana a scuola ci siamo concentrati sulla staffetta di scrittura. Abbiamo completato insieme ai bambini il settimo capitolo, ma NON LO ABBIAMO ANCORA PUBBLICATO, perchè abbiamo pensato di coinvolgere anche voi.
Mentre a casa  i bambini obbligatoriamente disegneranno e illustreranno il capitolo scritto insieme in classe voi potrete (senza alcun obbligo) scrivere la vostra versione del  settimo capitolo di questa storia.

Regole di questo "gioco"

-Scrivete liberamente senza chiedere aiuti e interventi dei vostri figli
-Non dovete terminare la storia, ma solamente continuarla (la staffetta prevede un testo di 11 capitoli)
-Non visionate per nessun motivo  i disegni dei vostri figli che realizzeranno nel week-end
-Divertitevi e rilassatevi scrivendo, se la cosa vi appesantisce o vi dà fastidio non fatelo assolutamente
-La prossima settimana confronteremo le vostre storie con quella scritta in classe, sarà un divertente e utile confronto!
-Consegnate i vostri "elaborati" ai bambini che li porteranno a scuola lunedí
-Il maestro non vi valuterà, state tranquilli!!!

Buona Staffetta!!!


giovedì 19 gennaio 2017

Staffetta di Scrittura

Anche quest'anno stiamo partecipando alla Staffetta di Scrittura. Scriveremo il settimo capitolo tra pochissimi giorni...

Ecco qua sotto cosa hanno scritto i nostri amici di 6 diverse scuole italiane...

Belve nei muri

Incipit di Luigi Dal Cin
Mi è difficile dimenticare quella sera.
Ricordo la luce del sole al tramonto che riscaldava il viso e le facciate delle case, l’aria frizzante, i
rumori familiari delle tavole che venivano apparecchiate, i muri scalcinati, i miei passi veloci per
tornare a casa per la cena.
E poi all’improvviso: le belve.
Le ricordo benissimo.
È da quella sera che è iniziata la mia vita con il circo.
Allora sapevo a malapena lanciare tre palline e farle volteggiare in aria: un gioco che mi aveva
insegnato mio zio e con cui sapevo stupire i compagni di classe.
Allora non avrei mai immaginato che il circo sarebbe diventato la mia vita.
Camminavo veloce per la via tutta dritta che mi riportava a casa e ogni tanto guardavo l’orologio:
“Accidenti: ancora in ritardo per la cena! Chi la sente mia mamma stasera... c’è il rischio che
domani non mi faccia più uscire per andare al parco a giocare: in punizione!
Camminavo veloce, ero tutto solo per la strada, la luce del tramonto era ormai dorata e mi faceva
sentire al sicuro.
Eppure, in fondo all’anima intuivo qualcosa di buio, una paura, una sensazione minacciosa: la
sensazione di essere inseguito.
Tanto che all’improvviso mi girai di scatto.
Nessuno.
Solo la strada vuota, i muri scalcinati, la luce del sole che andava spegnendosi.
«Dai, Tommy, non fare l’idiota!» dissi a voce alta «Lo sai: non mi piace quando fai questi scherzi».
Non mi rispose nessuno. Ripresi a camminare veloce.
“Forse stavolta non è Tommy” pensai forse questa sera è solo la mia immaginazione”.
Mi voltai di nuovo, di scatto.
Nessuno. Eppure quella sensazione...
Ripresi a camminare ancora più veloce.
E fu allora che me ne accorsi.
Le belve.
Le belve mi stavano seguendo.
Le intuivo muoversi con la coda dell’occhio. Come ombre silenziose.
Ma appena mi voltavo: non le vedevo più!
Le potevo intravedere solo con la coda dell’occhio.
Erano come ombre silenziose che mi seguivano lungo i muri.
Camminavano sulle loro zampe, accanto a me, con la mia stessa velocità.
Erano leoni, tigri, elefanti, coccodrilli, scimmie, giraffe...
Intuivo le loro sagome buie.
Ma appena mi giravo: niente. Sparivano.
O meglio... mi accorsi che... osservando meglio... quei muri scrostati... mi accorsi che avevano
stesse forme delle belve che con la coda dell’occhio avevo intravisto seguirmi!
Ecco il leone! E quelle due crepe sul muro erano proprio le sue fauci spalancate.
Ed ecco lì una forma allungata tutta scrostata sul muro appena sopra il marciapiede: un coccodrillo!
Come avevo fatto a non accorgermene subito?
«Perché mi seguite?» gridai «Cosa volete da me?»

CAPITOLO 1 I MIEI NUOVI AMICI

Gridai con forza, ma non ottenni nessuna risposta. Fu allora che un pensiero mi balenò nella mente…
Fischiettando, giocando con le palline, continuai a camminare e, a un tratto, mi fermai di colpo e, come per magia…
li vidi. Questa volta furono loro a spaventarsi.
«Scherzetto» dissi loro «perché mi seguite? Cosa volete da me?»
All’improvviso, dai muri scalcinati, come per incanto, vennero fuori leoni, tigri, elefanti, coccodrilli, scimmie, giraffe…
ebbi l’impressione di essere finito in una savana.
Mi circondarono e mi guardarono con occhi supplichevoli. Sulla testa di un elefante vidi un pappagallo di tanti colori,
che sembrava un bellissimo arcobaleno che splendeva nel buio della sera ed illuminava il viso di tutte quelle povere
belve. Ad un tratto aprì le sue variopinte ali e volteggiando, danzando intorno ai suoi amici, venne a fermarsi sul mio
braccio. I suoi amici lo invitarono a parlare.
«Noi vogliamo soltanto fare amicizia con te» esordì il pappagallo «ci sentiamo così soli e abbandonati, desideriamo
solo la tua compagnia perché sei molto buono e sai giocare così bene con le palline che potresti mettere su un circo
insieme a noi».
Fu così che feci amicizia con loro e cominciarono a confidarmi le loro paure ed il motivo per cui erano scappati dal
circo.
L’elefante, il più anziano del gruppo, disse che quando erano dei cuccioli, vivevano lieti e spensierati con i loro
genitori nella savana. Lì erano liberi di correre felici e gioiosi, giocherellando con gli altri cuccioli tutto il giorno
nell’acqua, sugli alberi, sui prati e nelle steppe verdeggianti.
Un brutto giorno, però, un cacciatore li catturò e li vendette al proprietario del circo dal quale stavano fuggendo. Il
nuovo domatore, un uomo molto cattivo ed egoista, li maltrattava in modo crudele, picchiandoli con la frusta. Li teneva rinchiusi nelle gabbie, senza amore e, se sfortunatamente qualcuno di loro si ammalava, non chiamava
neppure il veterinario; li lasciava soffrire senza pietà.
Il cibo non era sufficiente, loro erano molto deboli e, quando non riuscivano a dare ottimi risultati, durante gli
allenamenti, venivano frustati e lasciati nelle gabbie senza mangiare.
Nel sentire queste parole, mi rattristai mentre dei grossi lacrimoni mi rigavano il viso, perché non è giusto
maltrattare gli animali.
Una simpatica scimmietta mi si avvicinò e mi disse di non piangere perché loro si sentivano al sicuro con me, che
certamente non li avrei abbandonati.
Abbracciai la scimmietta; intanto il leone prese la parola e disse che una notte, approfittando del fatto che per
sbaglio le loro gabbie erano state lasciate aperte, erano scappati. Arrivati in città, per proteggersi dai pericoli,
avevano imparato a mimetizzarsi e a scivolare come ombre sui muri e sui marciapiedi.
Mi chiesero di aiutarli a nascondersi in un luogo sicuro.
All’improvviso vidi un signore infuriato che correva, con una lunga corda bianca verso di noi, e mi spaventai
tantissimo. Allora capii che voleva picchiarli e riportarli al circo. Così decisi di aiutarli, portandole a casa con me,
perché gli animali non vanno maltrattati, ma amati e curati.
Quando arrivai a casa, aprii piano piano la porta ed entrai in punta di piedi per non farmi sentire dai miei genitori.
Mentre spiavo dal buco della serratura, me li trovai davanti tutti sorridenti e non mi fecero nessuna domanda. Fu allora che capii che i miei genitori non vedevano il pappagallo e i suoi amici, perché le persone adulte avevano
perso l’immaginazione.
Quindi con gli occhi feci segno ai miei nuovi amici di entrare.
La mia sorellina, invece, con mio grande stupore li vide, mi venne vicino e mi chiese perché avevo portato a casa
tutti quegli animali.
Mi feci promettere da lei che avrebbe mantenuto il segreto e mi avrebbe aiutato a sistemarli. Siccome mio nonno
Peppe aveva una fattoria, il mattino seguente mi alzai presto e, con il pretesto di andare a fargli visita, portai gli
animali nella stalla a bere il latte appena munto.
Dopo un bacio al nonno, andammo a scuola.
Appena entrati nel cortile della scuola, tutti i bambini li videro e cominciarono a urlare di gioia, rincorrendoli e
giocando con loro.
Solo le maestre, i bidelli e i genitori non vedevano niente, perché anche loro avevano perso l’immaginazione;
pensavano invece che i loro alunni fossero impazziti e pe questo gli insegnanti li sgridarono e li riportarono in
classe.
Allora io dissi: «Calma, amici miei, ci vediamo tutti al parco dopo la scuola».
Nel pomeriggio, dopo aver terminato i compiti per casa, andai con i miei nuovi amici al giardino pubblico. Qui ebbero modo di mimetizzarsi ovunque: sui muri, sulle cortecce degli alberi, sulle giostrine, sugli scivoli.
Solo il pappagallo andò a posarsi tra i capelli bizzarri del pagliacci.
I bambini li accolsero con gioia e ci divertimmo tantissimo.
Ad un certo punto mi dissero che avevano fame e sete, così con gli altri bambini disegnammo acqua e cibo sui muri, sui marciapiedi e sui tronchi e, quando finimmo, come per magia tutto divenne reale, così le belve tutte contente ringraziarono noi bambini per il nostro affetto.

Capitolo secondo UNA PARTITA SPIRITOSA

Andare via? No, troppo presto per finire una giornata così bella! Il sole era ancora alto nel cielo e il parco ci offriva uno spettacolo incantevole, misto a una sensazione di libertà.
Numerosi gruppi di bambini giocavano felici rincorrendosi e passando dall’altalena allo scivolo, dalle giostrine al ponte tibetano.
Oltrepassammo il ponticello di legno che ci permetteva di attraversare un piccolo ruscello con acqua cristallina, dove le rane saltavano da un sasso all’altro mentre più in là, nel laghetto, alcune anatrelle con leggeri colpi di ali improvvisamente si sollevavano e si tuffavano a capofitto.
I miei amici ammiravano increduli i pini giganteschi e gli alberi fioriti, quando all’improvviso ci parve di avere addosso lo sguardo fitto e pensieroso di tanti occhietti che sbucavano dai folti cespugli: leprotti, ricci, volpi e tanti piccoli animali da sempre abitanti del parco.
Interpretando le loro facce mi rivolsi a loro: «Non vi preoccupate! Sono degli amici anch’essi , ma molto più sfortunati di voi››.
La volpe, strofinandosi una zampetta sul muso e facendo roteare la sua maestosa
coda rassicurò i compagni.
«Forse ho capito» esordì la furbetta guardandosi intorno e osservando ogni nostra emozione.
«Vedete? Sono stranieri e di sicuro qualcuno li ha portati qui togliendo loro anche le più semplici gioie della famiglia, della fanciullezza…»
Mentre parlava, gli occhi diventavano sempre più lucidi e, per la commozione, qualche lacrimuccia rigava il suo musetto.
«Quindi? Cosa vogliamo fare adesso per passare un po’di tempo insieme allegramente? » disse lo scoiattolo cercando di togliere la sua amica dall’imbarazzo.
«Giochiamo a nascondino!»
«No, facciamo a mosca cieca!»
«È più bello arrampicarsi sugli alberi!»
«Perché non facciamo scegliere ai nostri ospiti?» disse il leprotto.
«Che ne pensate di una bella partita di calcetto “Amici del parco” vs “Amici del circo”?» propose la scimmietta.
«Sì, sì, sì!» gridarono tutti in coro.
Così, chiamati tutti a raccolta, concordarono squadre e ruoli.
Tutto è pronto. Il cronista poteva iniziare…
Gli spalti erano gremiti, i bambini del parco erano accorsi per assistere a questa particolare partita di calcetto sponsorizzata dal WWF.
Ecco che entrano in campo i giocatori delle due squadre: Amici del parco VS Amici del circo
Si posizionano a centrocampo, ai lati della terna arbitrale composta dal Pagliaccio Piero e dai due guardalinee, il pappagallo ed il gufo. Allena il cane.
La formazione degli Amici del Parco è la seguente:
In porta lo scoiattolo, in difesa l’istrice e il riccio, al centrocampo il leprotto e in attacco la volpe.
La formazione degli Amici del Circo comprende:
In porta la scimmia, in difesa l’elefante e il coccodrillo, al centrocampo la tigre e in attacco la giraffa. Allena il leone.
È il momento degli inni. La prima squadra intona: Andiamo a comandare.
La seconda risponde: Io di te non ho paura
Il pagliaccio fischia il calcio d’inizio e la tigre, sicura di sé, sta per calciare quando il leprotto scivola tra le sue zampe, le ruba la palla e la passa alla volpe. La furbacchiona tenta un cucchiaio, ma la scimmia attorciglia la coda alla traversa e, a testa in giù, afferra la palla. La scimmia la rinvia all’elefante che prontamente l’aspira con la proboscide, la lancia alla giraffa che con un colpo di testa la spinge in rete.
GOOOOL!!!
Sugli spalti esultano e fanno la ola.
Il gioco riparte. L’istrice crossa, fa una rovesciata e colpisce il palo.
La palla rimbalza sul riccio e miracolosamente insacca nella rete. Ora applaudono e fanno festa i tifosi degli Amici del Parco.
La partita era terminata in perfetta parità. I giocatori si stringono la mano.
L’agonismo tra le due squadre svanì velocemente per far posto a quattro commenti tra amici.
«Certo che non era mica previsto un pubblico così fantastico!»
«Sì, veramente incredibile!»
« Non siamo mai stati così bene!»
« Come vorrei che questa avventura non finisse!»
«È proprio bello divertirsi insieme!»
« Nessuno ti tratta male!»
Gli ultimi raggi del sole che cominciavano a svanire all’orizzonte , per far posto alle diverse sfumature di rosa, mi fecero rendere conto che bisognava far ritorno a casa.
Certo, dopo una giornata così emozionante e movimentata era arrivato il momento.
Senza pensare a nulla, istintivamente guidavo i miei amici verso la fattoria del nonno. Già potevamo vedere il vialetto alberato, le pareti in pietra della masseria e il suo ingresso protetto da un grande portico in legno.
Le luci all’ interno della casa erano accese.
Ci avvicinammo tutti alla finestra per sbirciare e vedemmo il nonno che, sdraiato sulla sua vecchia poltrona a dondolo leggeva il giornale e accarezzava quelli che lui chiamava i suoi inseparabili compagni: una cagnetta meticcia e un piccolo soriano.
«Cosa fate lì? Perché non entrate? »
Ma… allora il nonno vedeva i miei amici?

CAPITOLO TERZO FATTORIA IN ALLEGRIA!

Il nonno ci accolse come se già fosse a conoscenza del nostro arrivo e con un grande sorriso disse: «Accomodatevi in casa!»
E ciò nonostante i nuovi arrivati non avessero proprio una corporatura snella! Certo, avevo proprio un nonno “super!”
I nuovi amici, con movimenti leggeri, con le orecchie basse e con molta cautela, cercarono uno spazio dove sistemarsi senza fare danno. Tutto andò bene, fino a quando non si udì un rumore di oggetti in frantumi…
Preoccupato, andai a vedere… ahimè… la scimmietta aveva scambiato il lampadario, forse, per un frondoso ramo su cui arrampicarsi e… puff… giù per terra!!
Tutti gli altri animali scoppiarono in una grande risata… persino il nonno! Beh! Il ghiaccio era rotto e non solo quello!
Il nonno propose di presentare i nuovi amici ai “suoi” amici della fattoria che lui tanto amava, ma tutto ciò sarebbe avvenuto il giorno dopo, ora bisognava dormire.
Spensi le luci e i miei amici caddero in un profondo e tranquillo sonno, finalmente fuori dalle gabbie! Il giorno seguente i miei nuovi amici, incuriositi, volevano conoscere gli animali della fattoria. Quale occasione migliore se non una bella festa?
In una vecchia cassa avevo trovato dei palloncini colorati che l’elefante gonfiò con la sua lunga proboscide e la scimmietta li attaccò un po’ dappertutto, mentre la giraffa raccoglieva i frutti dagli alberi con il suo lungo collo, aiutata dal pappagallino che, con voce allegra, diceva: «Allunga il collo, su quel ramo ci sono tante mele rosse!»
Anche gli animali della fattoria si davano da fare…
La gallina e la mucca con latte caldo, farina e uova prepararono delle gustose frittelle. Le oche, starnazzando, andarono a raccogliere verdura fresca e ortaggi per le giraffe e gli elefanti. Persino il topolino rinunciò al suo pezzo di formaggio per offrirlo agli ospiti! Il nonno, invece, scortato dal leone andò a prendere in cantina nel surgelatore salsicce e bistecche.
Che atmosfera! Che gioia provavo nel vedere uniti due mondi animali così diversi!
Il nonno, infine, tiro fuori dal suo frigorifero una bella torta di panna e cioccolato. La gallina più anziana fece gli onori di casa e invitò tutti a gustare la colazione. Le belve assaporarono tutto ripensando a tutto ciò che avevano subito…cattiverie, punizioni, digiuni e maltrattamenti…
Dagli occhi dell’elefante, incominciarono a scendere delle lacrime che furono notate dal nonno che disse: «Voglio conoscere la vostra storia!»
L’elefante iniziò a raccontare: «Vivevamo nella savana, felici con le nostre famiglie… giocavamo con le giraffe, le scimmiette saltellavano sulle nostre proboscidi, i pappagallini con le loro zampette ci grattavano la schiena… fino a quando non arrivarono degli uomini cattivi che con le loro reti ci hanno catturato e portato via… persino il ruggito del leone non li ha spaventati! Siamo arrivati, in piena notte, in un circo dove c’era un signore con una frusta che ha utilizzato quando non volevamo essere ingabbiati. Che dolore!»
«Sì, è vero… e poi, quando avevamo la febbre, nessuno si prendeva cura di noi!» aggiunse con tristezza la giraffa.
Gli animai della fattoria, intristiti dal racconto, pensarono a quanto fossero fortunati a vivere liberi e felici con le loro famiglie e per rallegrare l’atmosfera iniziarono a ballare e a cantare.
I cavalli, invece, avevano organizzato una gara ad ostacoli mentre il nonno suonava la chitarra e i pappagallini insieme con i pulcini intonarono un allegro coro.
Finalmente arrivarono i miei compagni di classe, iniziammo a divertirci. Mio nonno insegnò all’elefante come mungere una mucca e come raccogliere le uova! Che scena divertente!
La fine della serata prevedeva uno spettacolo in cui tutti gli animali si esibivano liberamente senza domatori e senza frusta. Persino io e il nonno, vestiti da clown, improvvisammo un numero con le uova usate come palline, mentre tutti gli animali facevano da pubblico e ridevano!
Quante ne abbiamo rotto con grande disappunto delle galline! Ad un certo punto quella golosona della giraffa, curiosando nella casa del nonno, vide appeso un maglione verde e pensando fosse una grande e deliziosa foglia…
la mangiò! Ma subito si sentì male e mentre la pancia emetteva suoni strani, “BRAG… BREG…BROG…”, corsi subito in suo aiuto.
Ricordai che il nonno possedeva il libro delle cure degli animali e lessi che l’unico rimedio era darle un po’ di latte con fragole.
La giraffa gradì “la medicina” e piegò la testa per ringraziarmi esplorando il mio viso con la sua lingua ruvida. Come era carina! Le volevo un gran bene!
L’elefante, che si era goduto la scenetta, improvvisamente fu punto sulla coda da una zanzara e per il forte prurito iniziò a saltellare su se stesso.
La scimmia, sua grande amica, lo aiutò spalmandogli un po’ di salsa di banana, che aveva prontamente preparato, sulla coda.
Il prurito passò ma un elefante con la coda gialla… non si era mai visto!
Il ruggito del leone indicò a tutti gli animali che era l’ora di andare a dormire e, felici di quella giornata all’insegna della libertà, si ritirarono.
Ma, improvvisamente, si udì uno scricchiolio… e una figura, illuminata dal chiarore della luna si stava avvicinando…Chi era?

CAPITOLO QUARTO ARRIVA IL NEMICO

All’improvviso la porta si aprì e una sagoma nera, sinistra e minacciosa entrò, sbattendo una grande frusta sul pavimento. Quell’ombra spaventosa portava un mantello grande e lungo, il quale copriva un abito che pareva essere una divisa; aveva una barba folta e baffetti a manubrio. In testa portava una tuba grande e un po’ malconcia dalla quale uscivano capelli arruffati e crespi, che sembravano le cento braccia di un ecantochiro. L’uomo era molto nervoso: mani e baffi gli tremavano, usava un tono di voce alto e aggressivo, blaterava parole senza senso e procedeva a passo pesante.
Fu facile per gli animali riconoscere il domatore del circo, così si mimetizzarono in fretta e furia negli oggetti della casa.
Il coccodrillo divenne la sciarpa del nonno appesa all’attaccapanni, il leone si trasformò in una balla di fieno, la scimmia diventò un abat- jour, l’elefante attorcigliò la proboscide e diventò un divano, la giraffa si mimetizzò nel tubo dell’acqua e il pappagallo si nascose nel quadro di zia Pina.
Tutt’intorno regnava il gelo. Il nonno rimase fermo e impietrito a osservare le mosse di quel losco figuro, mentre io cercavo di mantenere la calma e di non farlo insospettire o reagire in modo brusco e violento. Era davvero facile intuirne la cattiveria e le intenzioni crudeli.
I miei compagni fecero finta di ritirare i piatti nell’acquaio della cucina, ma con la coda dell’occhio prestavano molta attenzione a quanto accadeva intorno a loro.
Il nonno si fece avanti e con prudenza e calma gli chiese chi fosse e perché fosse entrato in casa sua.
Quel tipo sinistro si presentò dicendo il suo nome in modo veloce e scorbutico: «Mi chiamo Mister Jack e sono il veterinario di una clinica per animali da cui sono spariti misteriosamente degli animali della savana. Sono molto preoccupato» fece con tono sarcastico e melenso e poi continuò «perché erano feriti e avevano bisogno di
tantissime cure per riprendersi. C’era un elefante che aveva tanto mal d’orecchie, un coccodrillo con una zampa rotta, un pappagallo che aveva la voce rauca, una scimmia con una coda piena di graffi, un leone sdentato e con il raffreddore, una giraffa con il torcicollo. Io volevo loro molto bene, le accudivo con affetto e avevo il progetto di reinserirle nella savana appena guarite. Temo che senza qualcuno che le tenga al sicuro e le medichi le loro
condizioni di salute possano aggravarsi al punto di portarle alla morte…»
Il nonno ed io ricordammo all’improvviso che avevamo già visto da qualche parte quell’individuo. Ma certo era il domatore del circo descritto dagli animali!
Né io né il nonno rimanemmo incantati da quelle parole, perché era chiaro che il signore mentiva. Tutti erano a conoscenza dei maltrattamenti degli animali proprio in quel circo.
«Ma perché, caro veterinario, sei venuto proprio qui da noi?» domandò il nonno, facendo finta di credere a quel racconto di pura fantasia.
«Perché, passando da queste parti, ho visto delle impronte che mi ricordano quelle degli animali della savana che sono scomparsi…» fece il domatore stizzito.
«Sicuramente ti sei sbagliato, perché qui abbiamo tanti animali, ma quelli di una fattoria e le impronte che hai notato potrebbero essere dei cavalli o delle mucche» aggiunsi io.
«Ma io sono sicuro che quelle impronte appartengano ai miei cari amici animali: sono molto più ampie e hanno una forma diversa da quella degli animali che sono ricoverati nelle stalle…»
Il nonno, a quel punto, accese la luce per far vedere che non c’erano né elefanti che barrivano, né giraffe che correvano, né coccodrilli che spalancavano le fauci, né pappagalli che ripetevano parole, e neanche scimmie che facevano acrobazie, né leoni che ruggivano.
Il domatore sembrava però attratto da qualcosa di palpabile nell’aria… forse l’odore o forse qualche piccolo rumore?
Cominciò ad allargare le grandi narici e ad arricciare la punta del naso; poi spalancò le orecchie girandosi in direzione del divano e disse: «Sento l’odore di una mistura floreale tipica degli elefanti adolescenti che profumano di miele…»
Noi tutti fummo pervasi da una paura folle. Forse li stava per trovare…
A quel punto il nonno si fece avanti e svelò la vera identità di Mister Jack.
Sullo scaffale della sua vecchia libreria c’era un vecchissimo articolo di giornale che parlava proprio di quel circo.
Poi recava anche una fotografia delle persone incriminate di maltrattamenti nei confronti degli animali.
Allora corse a prendere il quotidiano e mi chiamò perché lo aiutassi a cercare la figura di Mister Jack. Fui proprio io a individuarlo tra quelle vecchie e ingiallite pagine.
Il nonno prese fiato e disse: «Ti abbiamo scoperto, maltrattatore di animali! È meglio che tu te ne vada rapidamente, altrimenti chiamiamo le autorità di vigilanza!»
Sentito questo, il domatore girò i tacchi e con un tremendo colpo di frusta, che sembrava un proiettile, aprì la porta e se ne andò.
A me venne un terribile sospetto: perché le impronte degli animali cominciavano nuovamente ad essere visibili a tutti?
Chi lo aveva indirizzato lì?

CAPITOLO QUINTO UN SOGNO… IN FUGA
…Ma chi ci aveva visto? A chi stava ritornando l’immaginazione?
Forse erano stati i bambini nel parco a spifferare la cosa? I vecchietti? Oppure qualche adulto che iniziava a vedere le belve?
Mah!!! Ora bisognava solo agire!
Il nonno ci esortava alla calma e alla ragione.
«Certo! Calma e sangue freddo!» dissi io.
«Cosa fare? Progettare una fuga!»
Bisognava scappare lontano, ma molto lontano da quel losco figuro. Il nonno si allontanò turbato.
Gli animali, riprese le loro forme, erano tristissimi; ripensavano alle loro vite ormai perdute.
«No! Non posso pensare alle torture di quel maledetto domatore!» diceva l’elefante.
«Io non posso proprio trattenere le lacrime!» rispose la giraffa.
«Io, che sono il re della foresta e dovrei essere il più forte, non riesco a fare nulla! Ho i brividi! La paura mi attanaglia, mi blocca tanto da non riuscire nemmeno a pensare! Vorrei essere un mago da far apparire un tappeto volante che ci porti via nella nostra cara terra» intervenne sconsolato il leone.
«Sì sì, la fuga è una buona idea» risposero i miei compagni.
«Vi aiuteremo anche noi!»
Si asciugarono le mani e uscirono fuori a perlustrare i dintorni della fattoria, per accertarsi che quel dannato domatore fosse andato via per davvero.
«Cari animali, non vi avvilite! Cerchiamo di pensare a come fuggire!» aggiunsi io.
Intanto la scimmia, che si dondolava tremante, iniziò una cantilena che aveva imparato nella savana. Sua nonna gliela recitava quando era piccola nei momenti difficili, per tranquillizzarla.
“Un grosso pappagallo è poggiato su un sacco giallo, la sorella tua scimmietta
indossa sempre una maglietta, l’elefante giocherellone è sempre un fannullone,
l’ alligatore dispettoso è orgoglioso e un po’ noioso.
Su, scimmietta, cara mia dormi dormi in mia compagnia.
Se paura non avrai Il pericolo scamperai!”
Allora l’elefante cominciò a barrire, la giraffa girò in tondo, il coccodrillo come per incanto cominciò un girotondo, sempre più veloce, veloce, veloce…
Io con loro cominciai a ripetere la filastrocca…
La testa girava, girava, girava e… cademmo in un sonno profondo. Ci ritrovammo in un tendone a pois bianchi e rossi. Tre piste e tante luci.
Io finalmente ero quello che avrei voluto essere: un domatore! Ero chiuso in una gabbia con le tigri, che aspettavano un mio segnale per iniziare lo spettacolo.
Gli spettatori applaudivano incantati e rapiti da quel mondo fantastico: il circo!
Io parlavo con le tigri: «Forza amiche mie! Non abbiate paura! Fate vedere cosa sapete fare!»
E con una frusta fatta di foglie e fiori le invitavo a saltare. Ad un certo punto mi fecero l’occhiolino ed anch’io cominciai a saltare con loro.
Saltavamo in un arcobaleno, che emozione! Il loro mondo mi apparteneva!
Non avevano paura di me! Avevano capito quanto io le amassi e le rispettassi.
All’improvviso la gabbia cominciò a girare così velocemente che le sbarre, ad un tratto, si aprirono. Non c’era più gabbia che le potesse tenere chiuse. L’amore le aveva liberate.
Sono un eroe? L’importante è combattere per creare un circo in cui le belve si sentano libere e rispettate dagli uomini.
«Forza animali tutti! Venite in pista e facciamo un gran parata, cantando a squarciagola: Viva noi: belve gioiose e spiritose. Se con me verrai un buon uomo diventerai!»
Sfilavano, facendo mille acrobazie. Una grande piramide “animale” trionfava in tutta quell’allegria. In groppa all’elefante il leone ruggiva e diceva: «Che bello stare qua, posso guardare il mondo con tranquillità».
In groppa al leone, la scimmia rispondeva: «Con allegria diciamo insieme: È bella l’armonia e la compagnia!»
Seguivano la giraffa che, elegante e superba, in un rosso tutù danzava con un orso a tu per tu. La scimmietta con la giacchetta saltava da un trampolino all’altro. Il coccodrillo con un turbante arancione, un papillon azzurro e quattro
scarpe gialle camminava, pensando di essere un gran pascià.

Che gioia! Che divertimento! Momenti indimenticabili e risate, risate a crepapelle.
Ed ecco entrare in pista il pagliaccio. Che buffo! Appena due passi con le sue lunghe scarpe che inciampava e cadeva. Dal suo fiore all’occhiello spruzzava acqua in faccia a tutti e diceva: «Buonasera signori, signore e piccoli miei. Io sono qua per far ridere tutti!»
Ad un tratto una voce tuonò: «Svegliatevi, svegliatevi!!»
Era il nonno che gridava. Aprii gli occhi di colpo. Peccato era stato solo un… sogno!
Tutto era svanito, ma non tutto era perduto.
Più che mai desideravo che quel sogno si trasformasse in realtà. Volevo a tutti i costi la loro libertà. Mi resi conto che bisognava sbrigarsi. Le belve, destatesi anche loro, tremavano e ripetevano: «E ora che facciamo?»
Il nonno continuava a gridare: «Forza, forza! Il piano, il piano! Dobbiamo muoverci prima che sia troppo tardi!»
«Penso che bisogna raggiungere il bosco appena fuori città. È la nostra migliore via di fuga. È importante agire con molta prudenza e attenzione!»
«Sì, nonno! Hai ragione! Penso che occorra dividerci in gruppetti, uscire dalla fattoria e raggiungere il bosco!»
«Ci incontreremo vicino al grande leccio».

CAPITOLO SESTO UN’ AMICIZIA INASPETTATA

«Chi è così coraggioso da uscire sull’aia per controllare che la strada sia libera!!?» chiese il coccodrillo.
Bobby, il cane del nonno, che si vantava con tutti gli animali della fattoria di essere coraggioso e impavido si offrì volontario.
Appena mise le zampe sull’aia incontrò la gallina Coccodè, alla quale raccontò l’avventura degli amici della savana. Allora Coccodè propose: «Salirò sul tetto, da lì potrò vedere fin dove sorge il sole».
Quando la gallina fu sul tetto della fattoria disse: «Da qui tutto tranquillo. Di domatori neanche l’ombra».
Bobby rientrò in casa dicendo che la strada era libera.
«Appena pronti si parte!» esclamò Leo, questo era il nome del bambino «Sarebbe meglio, però, dividersi in due gruppi. Così daremo meno nell’occhio!» aggiunse Leo.
«Con me la giraffa, il coccodrillo e il leone; con nonno il pappagallo, la scimmietta e l’ elefante.
Il nonno, vecchio esploratore, ha preparato la mappa del bosco, ma dobbiamo stare molto attenti perché il bosco è pieno di insidie».
«Amici vi raccomando zampe di velluto e occhi di falco».
La scimmietta per allentare la tensione cominciò a cantare:
«Siamo amici e andiam nel bosco
Siamo animali coraggiosi
insieme niente ci fa paura
neanche una nuova avventura .
Se vicini rimarremo
su tutti vinceremo.
Together forever!!!!
Su amico vieni andiamo a marciar,
Su sbrighiamoci ad andar!
Let’s go!»
Partirono per primi il nonno e il suo gruppo,faceva da battistrada la scimmietta con la mappa.
Appena usciti dalla fattoria presero il sentiero dietro casa. Dopo dieci minuti toccò a Leo e ai suoi amici animali avviarsi verso il bosco.
Prima, però, dichiarò: «Tu giraffa avrai la mappa, vedetta tu sarai e da guida ci farai!»
Così si inoltrarono nel bosco,camminando camminando la giraffa disse: «Mi sembra che qualcuno ci osservi! Non sarà mica il domatore? Quel brutto ceffo starà aspettando il momento propizio per catturarci».
A quel punto il coccodrillo, che si era un po’ risentito per non aver avuto in consegna la mappa, disse:
«Ma sei proprio una fifona, con quel collo lungo che ti ritrovi non sei nemmeno capace di guardare al di là dei cespugli!?»
Il leone ebbe un moto di orgoglio: «Tranquilli amici… sono pur sempre il re della foresta!!!!.Aspettatemi qui,andrò io in perlustrazione».
Mentre guardingo avanzava nel bosco il leone sentì una voce supplicarlo: «Ti prego, non farmi del male o re della foresta!»
Allora il leone guardò nella direzione da dove proveniva la voce e rispose: «Non temere, amica volpe, non voglio farti del male, ho altro per la testa!! Io e i miei amici stiamo scappando da un domatore malvagio e crudele».
E tutto di un fiato le raccontò le loro vicissitudini.
La volpe si commosse ed esortò il leone: «Chiama i tuoi amici… vi porterò io al grande leccio, conosco una strada segreta nel bosco».
Così in un batter d’ occhio si ritrovarono sotto le fronde del maestoso leccio assieme al nonno e al resto della compagnia.
La vista del grande leccio suscitò in loro stupore e meraviglia: era così bello con le sue foglie argentee brillanti, sotto i raggi del sole sembravano una cascata di diamanti, la sua bellezza tolse la parola perfino al pappagallo chiacchierone.

Il leone richiamò l’ attenzione del gruppo presentando la nuova amica.
Subito dopo la volpe si avvicinò al tronco nodoso del leccio e batté tre volte la sua folta coda su di esso.
Come per magia si spalancò una porta da cui uscì una luce abbagliante che accecò la compagnia,gli animali si spaventarono, ma la volpe li rassicurò dicendo: «Non abbiate paura amici, seguitemi».
Quando furono all’ interno del grande leccio si ritrovarono in un magnifico salone tappezzato di arazzi e con solenni tendaggi. In fondo al salone troneggiava una credenza di altri tempi a sinistra della quale c’era una vetrinetta, chiusa a chiave, che conteneva ampolle di varie dimensioni e colori. Al centro del salone era collocato un tavolo ovale di legno massiccio, il tutto sovrastato da un enorme lampadario di cristallo con più di 100 candele che diffondevano l’abbagliante luce.
Intontito da tanto splendore il goffo elefante urtò con la sua proboscide un tappeto arrotolato sistemato in un angolo in fondo al salone.
«Ahi che male, perché non guardi dove lanci la tua ingombrante proboscide?»
L’elefante sbalordito e spaventato con voce tremante chiese: «CH….CH…CHIII…eeeeeeeeeeé»
STRRRRRRRR…. nello stesso momento il tappeto si srotolò e cominciò a lievitare nell’aria…

E adesso tocca a noi della 3C scrivere il settimo capitolo...